Il percorso parte dalla Chiesa di Santa Cristina di Sepino...
VITA DI SANTA CRISTINA
Cristina, figlia di Urbano prefetto della città di Bolsena, all'età di undici anni, dal padre venne chiusa in una torre insieme a dodici ancelle poiché voleva che la figlia rimanesse vergine e si dedicasse completamente al culto degli dei. Da una fedele ancella, Cristina, conobbe il Vangelo, e si innamorò a tal punto di Cristo da chiedere il Battesimo; subito distrusse gli idoli d'oro posti nella torre e donò i frammenti del prezioso metallo ai poveri della città. Il padre, scoperta la realtà di cristiana della figlia, divenne il suo più accanito persecutore.
Dopo averla a lungo interrogata la fece chiudere in carcere, percuotere con verghe, distendere su di una ruota infuocata; infine, ordinò che la figlia fosse gettata nel lago con una macina legata al collo. Miracolosamente, però, Cristina galleggiò sulle acque come un fiore di ninfea usando per barca lo stesso strumento del martirio. Il padre, nel rivederla, per il dolore e la rabbia morì.
Dione, successore di Urbano, continuò a perseguitare la bambina infliggendole altri numerosi tormenti. Furibondo per la sua impotenza nei confronti della santa che tutto vinceva con la forza della preghiera, la fece
trascinare al tempio di Apollo per obbligarla a venerare la divinità; alle ferventi preghiere di Cristina la statua del dio scese dal piedistallo infrangendosi al suolo, uccidendo con una scheggia il folle Dione.
Gli successe il prefetto Giuliano che condannò la fanciulla ad essere uccisa dal morso di serpi velenose, ma queste non toccarono il suo corpo e si accanirono contro il Marso incantatore, uccidendolo. Giuliano, allora, la fece immergere in una fornace, ma le fiamme non consumarono il corpo della santa; disperato per l'ennesima sconfitta, Giuliano fece condurre la fanciulla nell'anfiteatro, dove, dopo averle reciso le mammelle e la lingua, fu fatta bersaglio di un nugolo di frecce.
IL CULTO DI S.CRISTINA A SEPINO
All'inizio del 1099 (siamo nell'epoca in cui Goffredo di Buglione sta per chiudere vittoriosamente la prima crociata e i nuovi dominatori normanni hanno avviato l'opera di latinizzazione del Sannio, sostituendo la dominazione bizantina - di rito greco-orientale - con la costruzione di nuove chiese e la protezione armata ai monaci benedettini) parte del Corpo della Santa giunse a Sepino in seguito al trafugamento perpetuato da due pellegrini francesi nell'antica catacomba di Bolsena. I resti della Santa rimasero a Sepino fino al 1160, quando furono donati alla Cattedrale di Palermo.
A Sepino è rimasto un frammento del braccio, in segno di protezione sulla comunità, che da quel lontano 1099 la venera come patrona principale.
Il culto di S.Cristina a Sepino ha radici molto profonde, e viene celebrato a più riprese: il 6 gennaio si commemora l’arrivo delle reliquie della Santa. Alle ore 12,00 della vigilia, al suono delle campane, si sospende ogni attività lavorativa o domestica, in omaggio e a devozione della Santa.
Il 10 gennaio è festa grande ed è chiamata "intratio" . Si ricorda la traslazione del corpo della Santa dall’ospizio di S. Nicola alla Chiesa del S.S.mo Salvatore, e il suo patrocinio sulla comunità.
La solennità è preceduta, il giorno 8 gennaio dalla tradizionale "crianzola" , originariamente una riunione dei capifamiglia, nella quale i produttori offrivano un assaggio del vino nuovo.
Il giorno 9 gennaio, quando le campane suonano a vespro, presso il palazzo comunale si radunano genitori e bambini.
L’amministrazione comunale dona a tutti i bambini e bambine il tradizionale "cartoccio" colmo di dolciumi e una candela che poi sarà offerta alla santa. Tante bambine, incoronate di fiori ,fanno la fila: sono "le verginelle".
Ogni anno, il Sindaco tiene un discorso di circostanza, a cui segue la risposta e l’omelia del parroco. Durante la celebrazione, il Sindaco offre alla santa, per le mani del Parroco, un dono in oro, incenso e mirra. L’amministrazione fa anche un dono alla parrocchia che rimane a perenne ricordo.
Al termine, i genitori portano i loro bambini che, con una suggestiva cerimonia, vengono benedetti e affidati alla protezione di S. Cristina. Nella Sacrestia intanto fervono altri preparativi. Si procede al sorteggio di turni di persone che durante la notte si alternano sul campanile per suonare manualmente le campane, in attesa del giorno festivo.
Il sorteggio stabilisce anche i gruppi che, in occasione delle quattro processioni in onore della santa, porteranno la statua e il baldacchino che la segue. Le campane che dall’alto del campanile dominano il paesaggio iniziano la loro danza e il suono rallegra tutti. Il loro suono si diffonde per tutta la notte. Il giorno seguente, numerosi cittadini e forestieri affollano i confessionali, per disporsi alla comunione in onore della Santa. Dopo la celebrazione eucaristica, segue la processione fino al rione Canala, seguendo uno dei leggendari percorsi intrapresi dai due pellegrini che portarono le reliquie di S. Cristina.
Tutta Sepino vi prende parte: si prega, si elevano inni e canti. La prima domenica di maggio, con la natura che esplode nella sua vivacità e bellezza, la tradizione vuole la solenne celebrazione in chiesa e la processione.
E’ la processione più lunga di tutto l’anno che attraversa tutto il paese.
Il 24 luglio è la festa patronale.
Alle ore 11, inizia la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo di Campobasso-Bojano, con il parroco, i frati e altri sacerdoti.
Al termine ha inizio la solenne processione che giunge fino al largo S. Nicola dove, secondo la tradizione, erano ospitati i pellegrini che
portarono le reliquie. Le due bande musicali attendono con impazienza e
appena la statua varca la porta della chiesa, campane e musica, preghiera e canti si intrecciano a dare onore alla Patrona che passa benedicente in mezzo alla sua gente, al paese per il quale chiede favori e grazie.
Dopo la Messa vespertina c’è un momento di tradizione e di folklore. Le due bande musicali provenienti da punti diversi si incontrano nella piazza e danno il via al "concertone" : tutti gli elementi delle due bande suonano insieme lo stesso motivo. Dalla casa Comunale, il sindaco, le autorità, l’amministrazione, seguiti dal popolo e preceduti dalle bande, portano la corona al monumento dei caduti.
Sin dal 1903, il 26 luglio è dedicato anche agli emigrati. (liberamente tratto dal sito: www.saepinum.it)
...Si snoda in paese fino al Ponte di san Rocco...
Da Santa Cristina al Ponte di San Rocco: m. 372; da 702 a 670 m.slm
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Analogie su cui riflettere: Il ponte di san Rocco a Sepino
(tratto da panoramio)
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Il ponte dei pellegrini di Canfranc, in Spagna, sul Cammino di Santiago |
Nonostante la grande popolarità di San Rocco, le notizie sulla sua vita sono molto frammentarie per poter comporre una biografia in piena regola, comunque è possibile, grazie ai molti studi fatti, tracciare a grandi linee un profilo del nostro Santo, elaborando una serie di notizie essenziali sulla sua breve esistenza terrena. Tra le varie “correzioni” che sono state proposte alle date tradizionali (1295-1327), si è gradatamente imposta quella che oggi sembra la più consolidata: il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco (da Rog o Rotch), nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità. Non è possibile ricostruire il percorso prescelto per arrivare dalla Francia nel nostro Paese: forse attraverso le Alpi per poi dirigersi verso l’Emilia e l’Umbria, o lungo la Costa Azzurra per scendere dalla Liguria il litorale tirrenico. Certo è che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Ad Acquapendente San Rocco si fermò per circa tre mesi fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.
L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce. Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371. Varie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Il Dio potente e misericordioso non permette che il giovane pellegrino morisse di peste perché doveva curare e lenire le sofferenze del suo popolo. Intanto in tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione San Rocco riprende il viaggio per tornare in patria. Le antiche ipotesi che riguardano gli ultimi anni della vita del Santo non sono verificabili. La leggenda ritiene che San Rocco sia morto a Montpellier, dove era ritornato o ad Angera sul Lago Maggiore. E’ invece certo che si sia trovato, sulla via del ritorno a casa, implicato nelle complicate vicende politiche del tempo: San Rocco è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, vivendo questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. Quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote; si verificarono allora alcuni eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta, ma quando la porta della cella venne riaperta, San Rocco era già morto: era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379.
Prima di spirare, il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome, nome che venne scoperto dall’anziana madre del Governatore o dalla sua nutrice, che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. San Rocco fu sepolto con tutti gli onori.
Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al giovane Rocco, pellegrino di Montpellier, amico degli ultimi, degli appestati e dei poveri.
Il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari.
Dal 1999 è attiva presso la Chiesa di San Rocco in Roma, dove per volontà di Papa Clemente VIII dal 1575 è custodita una Insigne Reliquia del Braccio destro di San Rocco, l’Associazione Europea Amici di San Rocco, con lo scopo di diffondere il culto e la devozione verso il Santo della carità attraverso l’esempio concreto di amore verso i malati ed i bisognosi.
Dal Ponte di San Rocco, per ColleMarraco al Guado sul Rio Fratto: m. [372 + ] 2410; da 650 a 780 a 740m.slm
Il cammino non presenta particolari difficoltà, tranne che in primavera, allorquando è necessario guadare un torrente. In ogni caso, è opportuno indossare scarponi da trekking e portare con sé acqua potabile.
Il sentiero attraversa una Zona S.I.C. ( Sito di Interesse Comunitario), si snoda in un bosco misto di latifoglie, con presenza di roverelle, farnie, carpini e ontani. Sui contrafforti rocciosi della montagna è possibile osservare il volo di rapaci, come la poiana e il gheppio. Volpi, ricci e tassi popolano sicuramente il sottobosco.
E’ vietato accendere fuochi nel bosco.
Dal Guado del Rio Fratto alla salita per la sorgente Grotta Cipolla m. [372+ 2410 +] 325; da 740 a 750 a 730 m.slm
è interessante notare come il toponimo della zona, nella carta del Regno di Napoli del 1812, fosse "Bosco del Colle della Torre", divenuto poi "Colle Marraco". Marra, a sua volta, può indicare un tipo di zappa, ma anche un cumulo di pietre; è fuor di dubbio che il luogo, prospettando sul tratturo dove lo stesso si curva, sarebbe stato l'ideale per edificarvi un punto di controllo visivo, aperto sulla piana di sepino e sulla strada per Morcone - Benevento. Non va dimenticato, infatti, che per lungo tempo Benevento è stata città pontificia inglobata nel territorio del regno di Napoli. Questa zona, cioè, è stata fin dai tempi più remoti zona di confine.
Dalla salita per la sorgente Grotta Cipolla alla sorgente Grotta Cipolla m. [372+ 2410+325+] 350; da 730 a 780 m.slm
E qui si lavora di cesoia, accetta e rastrello!
Dalla sorgente Grotta Cipolla al Santuario di Santa Lucia m. [372+ 2410+325+350+] 1270; da 780 a 860 m.slm
Complessivi: km 4,727; dislivello max: 210; tempo di percorrenza con equipaggiamento leggero: 2 ore e 15 minuti, circa.
Attenzione: sul sito
http://xoomer.virgilio.it/ass.agisci/Sentiero%20S.Lucia.htm
potrete ottenere ulteriori informazioni sul percorso, insieme ad una galleria di immagini.
VITA DI SANTA LUCIA
La Vergine e Martire Lucia è una delle figure più care alla devozione cristiana. Vissuta a Siracusa, sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano, intorno all’anno 304. Gli atti del suo martirio raccontano di torture atroci inflittele dal Prefetto Pascasio, che non voleva piegarsi ai segni straordinari che, attraverso di lei, Dio stava mostrando. Proprio nelle catacombe di Siracusa è stata trovata un’epigrafe marmorea del IV secolo che rappresenta la più antica testimonianza del culto di Lucia. La Santa è tradizionale protettrice degli occhi, dei non vedenti e degli oculisti.
IL SANTUARIO DI S.LUCIA A SASSINORO
Nel 1600 la montagna di Sassinoro, dal Monte Rotondo fino ai confini di Sepino, di Pietraroia e di Morcone era tutta una immensa distesa di boschi, luogo di pastorizia.
Un fatto strano, però, si ripeteva da parecchi giorni: una porzione di gregge spariva dallo sguardo vigile dei pastori che invano richiamavano con la voce e con il fischio noto. Quando essi ,dopo un giro di ricerca, tornavano sul luogo di prima, ritrovavano l’armento che pascolava tranquillamente.
Esso spariva attraverso il foro di un roveto, grande e largo quanto bastava al suo passaggio e giungeva al fondo di una grotta ove sostava. Poco dopo, il gregge ne usciva e ritornava al pascolo.
I pastori, ansiosi di scoprire, camminarono carponi sotto la piccola volta di siepi e imboccarono una piccola via oscura che si snodava in mezzo alla roccia, giungendo così in fondo ad una grotta luminosa.
In due angoli opposti comparvero due personaggi bellissimi: una giovane donna il cui volto era illuminato da un raggio di celestiale bellezza e un giovane dall’aspetto coraggioso e forte. Detto il loro nome, essi scomparvero alla loro vista.
All’interno della grotta, trovarono anche una immagine scavata nella roccia, raffigurante una donna con due occhi su un vassoio e una borsa da viandante a tracolla: era S. Lucia. In un altro angolo della grotta scorsero un’immagine di un angelo: era certamente S. Michele.
La voce si diffuse con la rapidità del vento nei paesi vicini e lontani e da allora migliaia di pellegrini salgono ogni anno al Santuario.
Nel 1622 don Francesco De Petroniano, testimone dei primi fervori di fede e di pietà alla Grotta della Santa, dedicò tutte le sue energie alla valorizzazione del luogo. Eretta una volta sotto il macigno della grotta scavò una nicchia nel vivo della roccia, vi sistemò la statua della Santa rinvenuta nella grotta e ne chiuse l’ingresso con un cancello. I lavoro furono completati nel 1643.
Da allora la Grotta di Santa Lucia è sempre stata così fino al 1937 quando il popolo di Sassinoro, insieme all’Arciprete don Nicola Notarmasi, decise di risistemare la zona e renderla maggiormente agibile.
La chiesa che vediamo oggi venne completata nel 1939 e negli anni successivi i sassinoresi, insieme ai loro parroci si sono sempre impegnati nel migliorarla. (liberamente tratto da: www.santuariosantalucia.it)
curiosità: una santa "sannita"
pur essendo siciliana, c'è una componente "sannita" nella vicenda di santa Lucia, seppure post mortem. Secondo una tradizione, infatti, le spoglie della Santa sarebbero state traslate dai longobardi dalla sicilia a Corfinum (oggi Pèntima in Abruzzo) dove sarebbero rimaste fino al 970, trafugate a loro volta dai Franchi.
Corfinum fu capitale della Lega Sociale (88 a.C.); una volta conquistata quest'ultima dai romani, capitale divenne Isernia e la Lega Sociale mutò nome in Lega Italica. E quindi Isernia è stata la prima capitale d'Italia.
Per quanto concerne invece San Michele , o meglio: l'Arcangelo Michele (che significa "Chi come Dio?") non è qui il caso di dilungarsi; si ricordi solo che era estremamente venerato dalle popolazioni bizantine, longobarde, poi normanne, sveve... e dai cavalieri di tutte le nazionalità, rappresentando tutte le migliori virtù del combattente e invocato contro il maligno. La sua dimora di Monte sant'Angelo è sempre stata meta di grandi pellegrinaggi specifici e tappa nel pellegrinaggio da e per la terra santa. Ed è ovviamente invocato dai pellegrini.
Nella sua apparizione dell'anno 490 sul monte Gargano egli dichiara:
"Dove si apre la roccia il peccato dell'uomo può essere perdonato e ciò che viene richiesto in preghiera potrà essere concesso"
E dunque, che altro aggiungere?
Altre cose da sapere su Santa Lucia di Sassinoro.
- Durante i lavori di costruzione del santuario, nel 1939, venne ritrovata una statua in bronzo della Dea Demetra, a cui era evidentemente stata dedicata la grotta, il che fa pensare ad un culto italico e romano. Secondo la mitologia, Demetra è anche nota come Cerere, ed avrebbe donato agli uomini i cereali, dal che se ne comprende l'importanza per le antiche culture agricole. Il percorso tratturale sul quale si affacciava la sannitica Saepinum era dunque anche un percorso fortemente spirituale che si sviluppava dal Tempio di Cantoni di Mefite, dea delle acque, al tempio della dea della terra e non appare un caso che le due dee siano state nel tempo soppiantate da due donne, Cristina e Lucia.
Più ad ovest, sullo stesso versante del Matese, si aggiunge il tempio di Hercul Rani, Ercole Quirino, campione di forza e salute. Terra fertile, acqua e salute. Che altro chiedere agli dei?
- All'interno della chiesa è praticabile il percorso nella roccia. Il pellegrinaggio è di per sè un percorso di rinascita, di rigenerazione; nelle chiese dei grandi percorsi si fa spesso riferimento a questo atteggiamento mentale e spirituale, al viaggio di Giona che viene mangiato dal mostro marino per essere poi rigettato sulla spiaggia, vivo e rigenerato nella fede, pronto per portare a termine la sua missione. E' un percorso che - per chi voglia farlo - va fatto in silenzio, nell'assoluto rispetto degli altri.
- Nel santuario sono presenti anche reliquie di san Pio da Pietrelcina che fu novizio nel Convento della vicina Morcone.